
Who is Daniel Arsham?
Daniel Arsham è un artista americano nato nel 1980 a Cleveland, Ohio, ma cresciuto a Miami. Laureato alla Cooper Union di New York, ha ricevuto il Gelman Trust Fellowship Award nel 2003. Nel 2004 ha partecipato alla mostra collettiva Miami Nice presso la Galérie Emmanuel Perrotin di Parigi, che ha iniziato a rappresentare Arsham nel 2005. Attualmente vive e lavora a New York.
Perché una tavolozza monocromatica?
Fino a poco tempo fa Arsham era daltonico e apparentemente rifuggiva nelle sue opere da tonalità diverse dal bianco e dal nero. Dal 2015, però, grazie a uno speciale paio di occhiali, è in grado di percepire anche altri colori dello spettro. Da quando ha iniziato a indossare quegli occhiali il colore si è impadronito della sua arte in modo deciso e audace. Utilizza principalmente tonalità di cristallo di calcite blu e viola, e il colore è dato dal cristallo stesso. Amethyst Ball Cavern (Caverna di sfere di ametista) ne è un esempio.

Snarkitecture e architettura
Arsham ha fondato Snarkitecture: una collaborazione e sperimentazione che crea opere a metà tra arte e architettura. È interessante notare che ciò che lo ha attirato per la prima volta verso il tema dell’architettura è stato un episodio di violento maltempo avvenuto durante la sua infanzia. L’aver assistito da bambino a come la sua casa diventava il relitto di un uragano fino a poter vedere “cosa c’è dentro i muri” gli lasciato in eredità una comprensione fluida dell’architettura.
Dopo il primo successo come scenografo, Arsham e il suo studio di architettura Snarkitecture hanno rapidamente iniziato a collaborare con artisti, musicisti, designer e marchi famosi. È il primo e unico artista residente di Adidas, e ha acquisito grande fama grazie alla sua recente collaborazione con Pharrell Williams. Un elemento centrale del lavoro di Arsham è il concetto di archeologia fittizia. Crea spazi e situazioni ambigui e mette in relazione passato, presente e futuro presentando oggetti dell’era millenaria in forma calcificata. Arsham è anche interessato a sperimentare l’atemporalità di oggetti simbolici e delle abitudini afferenti a culture diverse.

Perché questo interesse per l’archeologia?
Durante una visita all’Isola di Pasqua nel 2010, Ashram inizia a pensare all’archeologia come a una sorta di finzione. Nei siti archeologici di Rapa Nui sono stati scoperti e ritrovati vari oggetti, come reliquie e altri oggetti abbandonati dagli archeologi e dalle persone che li avevano preceduti. Anche se questi oggetti possono non appartenere allo stesso evento o periodo di tempo, è possibile costruire una narrazione su di essi come gruppo.
L’idea di un’ingegneria dell’archeologia inversa ha suscitato l’interesse di Arsham, che ha utilizzato oggetti contemporanei per creare la sensazione di un futuro archeologico fittizio. Molte delle opere di questa mostra giocano con la nozione di una sorta di archeologia del futuro e, in questo modo, diventano piuttosto d’impatto in termini di selezione degli oggetti.

Amethyst Ball Cavern (Caverna delle sfere d’ametista)
L’opera d’arte è costruita interamente con palloni da pallavolo rotti e palline da tennis viola, impilati a centinaia l’uno contro l’altro per formare un passaggio simile a una caverna. All’altra estremità di questo spazio si trovano un unico specchio a tutta lunghezza e quella che Arsham ha definito la sua “reliquia del futuro”: un pallone da basket brillante montato in cima a un’asta, luminoso e splendente grazie a un rivestimento di pietre preziose di colore viola (ametista-ossidiana).
Questo è il primo spazio architettonico completamente realizzato da Arsham. La “caverna” è ricca di temi legati alla decadenza e al passare del tempo. I palloni da pallavolo e le palline da tennis, oggetti comuni nelle case del XXI secolo, sono spogliati della loro essenza contemporanea e appaiono come antichi manufatti, impilati l’uno sull’altro come stalagmiti, rotti e ricoperti di polvere di ametista di colore viola.
Arsham mette in discussione il significato del vivere nel presente, presentando immagini quasi paradossali di oggetti comuni a noi cari che svaniscono in un oblio fatiscente. È impossibile avventurarsi nella mostra senza avvertire un senso di imminente sventura, come se tutti i palloni potessero crollare da un momento all’altro, ed è forse proprio questo che Arsham vuole dimostrare: la vita come la conosciamo è fugace.
L’unica lampadina crea un’aura di assurdità celata: questi concetti di tempo sono sotto il naso della gente, ma spesso non vengono riconosciuti. La lampadina getta una luce sugli oggetti per favorire la consapevolezza e il disagio di una rilevanza che sta lentamente svanendo.

Calcified Room (Stanza calcificata)
Uno spazio domestico arredato in stile metà secolo ma creato per apparire stranamente pietrificato.
L’installazione Calcified Room è esposta per la prima volta al museo Moco. L’opera è l’evocazione di un interno di grotta con concrezioni minerali, o della città di Pompei, eternamente conservata sotto le ceneri.
Hiding Figure (Figura nascosta)
L’opera Hiding Figure è una scultura consistente in una figura umana che sembra essere dietro una tenda.
Le pieghe del tessuto si sono indurite nella loro posizione originale, ricordando la tecnica del panneggio bagnato su un’antica statua greca, un tentativo di catturare nella pietra la diafanità del tessuto. Il modello di Arsham è The Enigma of Isidore Ducasse (L’enigma di Isidore Ducasse) (1920) di Man Ray, sostituendo la famosa macchina da cucire con persone o animali dei cartoni animati.

Corner knot (Nodo d’angolo)
Questa installazione murale “elastica” fa sì che le pareti del museo prendano vita inducendo lo spettatore a mettere in discussione i propri presupposti su ciò che costituisce le forme solide. Le forme solide diventano malleabili e una certa surrealtà prende il sopravvento sull’ordinario. Arsham sfida il modo in cui vediamo l’architettura e con le sue opere creative stravolge le norme di come dovrebbe agire l’architettura. Questo lavoro ci chiede di riflettere sulle proprietà dei materiali e delle strutture.
Daniel Arsham, parlando della sua opera Corner Knot, afferma: “Sappiamo che un muro ha alcune qualità di base. Ne conosciamo la consistenza, sappiamo che è destinato a sostenere il tetto sopra di noi e che è duro. Alterando queste qualità, pur mantenendo gli attributi fisici della superficie, l’opera appare come se fosse stata realizzata con lo stesso materiale e, tuttavia, ne è stata modificata la forma”.